#RacingFuels – Una bavarese spinta dalle idee italiane

09/09/2017

Ogni Paese di grande storia motoristica ha un circuito simbolo. L’Italia ha Monza, la Francia ha Le Mans, il Belgio ha Spa-Francorchamps, gli USA hanno Indianapolis, la Germania ha il Nürburgring. Proprio nell’Inferno Verde è ambientata la storia di oggi.
Dopo che negli anni ’80 lo sviluppo del motore a gasolio ha visto i camion della Dakar protagonisti, sul finire degli anni ’90 sarà un’automobile tedesca, con tecnologia tutta italiana, a far maturare definitivamente l’idea che il diesel possa essere sportivo, anche sulle macchine pressoché di serie.
Allacciate le cinture, si parte con #RacingFuels alla scoperta della BMW 320d E36!

L’avere la stessa considerazione dei motori a benzina, traguardo a lungo agognato dalla creatura di Rudolf Diesel, non poteva che avvenire in Germania e in una gara di durata. Il Nürburgring era già dal 1953 casa della 1000 chilometri, gara dedicata a piloti professionisti e a prototipi. Nel 1970 l’ADAC (Automobilclub Tedesco) introdusse anche un’alternativa per i piloti a livello dilettantistico, con auto strettamente derivate da quelle di serie: nacque così la 24 Ore del Nürburgring, con chiara ispirazione alle 24 Ore di Le Mans e di Spa.
A ridosso degli anni Duemila la regina di questa competizione era la BMW E36, terza incarnazione della Serie 3. A questa vettura si affidò per l’edizione 1998 il team Schnitzer Motorsport, volendo sfruttare i bassi consumi del diesel da poco rivoluzionato dal genio italico: stiamo ovviamente parlando della tecnologia Common Rail.

La storia del Common Rail, italianizzabile come “collettore comune”, cominciò grazie ai ricercatori del Politecnico di Zurigo negli anni ’30, per essere poi utilizzata in ambito navale e ferroviario attorno agli anni ‘40. Tale tecnologia sembrava però inapplicabile al campo automobilistico.
Nel 1990 ebbe inizio una collaborazione tra Magneti Marelli, Centro Ricerche Fiat di Orbassano (TO) ed Elasis di Modugno (BA), per studiare un’evoluzione dei propulsori a gasolio. Nel centro ricerche barese dell’allora Gruppo Fiat lavorava la squadra di Mario Ricco, che a tutti gli effetti detiene la paternità dell’invenzione. In quel periodo c’era aria di tagli al personale: per non finire riqualificati come operai, come rivelato dallo stesso dott. Ricco, i ricercatori dovettero inventarsi un nuovo motore. E così fecero, portando il diesel in una nuova era.
La chiave sta proprio nel condotto comune che fornisce il nome: una pompa ad alta pressione pressurizza il combustibile già a bassissimi giri motore, trasferendolo poi al common rail che funge perciò da serbatoio di accumulo. Il livello di pressione è regolato tramite una valvola elettronica dalla centralina del motore, che mantiene così il combustibile pressurizzato sempre pronto nel condotto comune. Questo, associato a valvole degli iniettori anch’esse a controllo elettronico e quindi rapide e precise, permette più iniezioni per ogni ciclo di lavoro. I vantaggi sono perciò una combustione più ordinata, con conseguente diminuzione delle emissioni di gas incombusti e dei consumi, oltre ad un sensibile aumento delle prestazioni. Si può affermare che il sistema di pre-iniezione renda il Common Rail molto più simile ai motori ad accensione, ovvero i motori a benzina, che ad un tradizionale motore ad accensione spontanea come quelli a gasolio.
Dopo la fase di pre-industrializzazione made in Italy, nel 1994 il progetto fu ceduto ai tedeschi di Bosch (su pressione della Mercedes-Benz, storicamente attenta alle sorti del diesel), che si occuparono di industrializzazione e commercializzazione. Il debutto su auto di serie avvenne nel 1997, con le Alfa Romeo 156 1.9 JTD e 2.4 JTD: l’accordo prevedeva che per 2 anni la tecnologia fosse esclusivamente appannaggio delle vetture del gruppo Fiat, comportandone una diffusione sul mercato globale solo dopo il 2000.

Come anticipato la Schnitzer Motorsport fu però precorritrice dei tempi: al propulsore 2.0 l di serie della casa bavarese, nel ’98 montato sulla BMW 320d E46 di serie, venne installato il sistema Common Rail fornito da Bosch, aumentando sensibilmente le prestazioni fin lì lontane da un uso competitivo. I cavalli salirono da 136 a 200, permettendo un confronto con la 320i.
Per il resto la 320d usata alla 24 Ore risultava pressoché identica alla sua omologa a benzina, seguendo il rigido regolamento della Super Tourenwagen Cup, molto meno permissivo in fatto di modifiche rispetto al DTM. Senza poter adottare materiali superleggeri per la scocca o eccessive appendici aerodinamiche, la E36 fu semplicemente alleggerita negli interni (niente moquette, materiale fonoassorbente e via dicendo), dotata di roll cage per la sicurezza, sedile a guscio da gara con cintura di sicurezza a più punti e volante da competizione senza servosterzo (per aumentare precisione e ridurre al contempo il peso).
Freni a 4 pistoncini con dischi da 345 mm (anteriore) and 280 mm (posteriore), cerchi da 19 pollici con dado centrale e infine cambio sequenziale a 6 rapporti completavano la dotazione.

Due le auto del team che presero parte alla gara: una con al volante il terzetto Hans-Joachim Stuck / Steve Soper / Didier De Radigues e una con Christian Menzel, Marc Duez e Andreas Bovensiepen (figlio del fondatore e co-proprietario dell’Alpina).
Dopo 6 ore di battaglia entrambe le 320d erano in testa. La vettura di Stuck, De Radigues e Menzel fu però poco dopo costretta al ritiro da un guasto elettrico, mentre la rimanente E36 diesel che invece resistette fino alla fine, con Stuck che si aggiunse come quarta guida dopo il guasto della sua auto.
L’intuizione di sfruttare i bassi consumi, che portò ad iniziare questa avventura nell’Inferno Verde, si rivelò corretta e soprattutto decisiva: per completare i 137 giri in 24 ore, equivalenti a 3343 km, furono infatti necessari rifornimenti solamente ogni 4 ore, con le altre vetture, comprese le “cugine” M3, lasciate a perdere molto tempo prezioso ai box.

La prima vittoria di un diesel, analogamente a quanto successo con l’exploit della Cummins Diesel alla Indy 500 del 1952, portò ad un cambio di regolamento: dal 1999 fu permessa l’iscrizione di vetture GT di gran lunga più potenti della 320d, cancellando il vantaggio dato dalle minori soste.
Questa volta però non sarà necessario aspettare decenni per la successiva affermazione di un diesel nelle gare. Il 2004 vedrà infatti le gesta a Le Mans di un prototipo della Lola: se ci segui assiduamente ricorderai di aver già incontrato questa casa automobilistica nella rubrica #CiakSiCorre, parlando di Paul Newman Patrick Dempsey.
Al prossimo appuntamento con #RacingFuels per continuare il racconto!

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– la Squadra Storie SCL