#RacingFuels – La Lola che ispirò Le Mans

16/09/2017

Siamo nei primi anni 2000, l’inizio del Nuovo Millennio e anche di una nuova era per i motori a gasolio. Come abbiamo infatti visto nella storia della BMW 320d E36 e del Common Rail, questi propulsori hanno ormai raggiunto un livello di evoluzione tecnica e prestazione tale da renderli quasi alla pari dei motori a benzina.
Il loro abituale terreno nelle competizioni sono state le gare di durata, in quegli anni dominate da prototipi che sperimentavano soluzioni all’avanguardia. Su uno di questi, la Lola B2K/10 B Caterpillar, un diesel di origine Volkswagen cambierà la classe per gli anni a venire, fino alle edizioni più recenti. Scopriamo di più su questa musa ispiratrice nell’appuntamento odierno con #RacingFuels!

Nel corso delle varie rubriche targate Sports Car Legends, abbiamo già incontrato la Lola Racing Cars. Fondata a Bromley (UK) nel 1958 da Eric Broadley, questa casa di automobili da corsa si è distinta negli anni in diversi campionati. Dapprima nata come produttrice di auto sportive stradali, già nel 1962 debuttò in Formula 1 restandovi fino al 1997, seppur in varie reincarnazioni e vesti (team autonomo, partner o fornitore di telai). Ricche di successi furono le esperienze nel campionato CanAm, durata dal 1966 al 1974, e nella Formula 5000, dal ’71 al ‘76. Degna di nota il trionfo alla 500 Miglia di Indianapolis del 1966,  mentre nel 1978 il vincitore corse con un telaio Lola modificato. Vari altri campionati in serie americane, in Formula 3000 e Formula 3 completano così un curriculum da fare invidia a molti costruttori.
Il nostro racconto si concentra però su quanto fatto dal telaista britannico nel campionato Sport Prototipi. Le radici affondano negli anni ’60, con il coinvolgimento di Broadley nel progetto Ford GT40 e la fornitura di telai ad alcune scuderie. Negli anni ’90 si era ormai consolidata la partecipazione della Lola alla competizione, con auto proprie o fornite a scuderie clienti. Nel 2004 una di queste, la Taurus Sports Racing di Norfolk (UK), tentò qualcosa di nuovo o quasi. Erano ormai più di 50 anni che sul Circuit de la Sarthe non si vedevano auto a gasolio, ovvero dall’ultima partecipazione dei fratelli Delettrez nel 1951, primissimi a tentare l’impresa nel ’49.

Dopo la fallimentare 1000 km di Monza del 2004, dove la vettura non prese nemmeno il via alla gara per un problema tecnico, per l’imminente 24 Ore di Le Mans si puntava al riscatto. Sfruttando il ritiro della Bentley dalla manifestazione dopo la fine del suo impegno triennale, la Taurus iscrisse 2 vetture: una montava il classico motore a benzina Judd V10 da 4.0 l, l’altra come detto un propulsore diesel.
Il team inglese si rivolse per la fornitura alla Volkswagen, che declinò però l’offerta: il progetto era pressoché sperimentale e quindi con un alta probabilità di insuccesso, per cui la casa di Wolsfburg  non volle rischiare la propria immagine in una gara dalla così grande risonanza internazionale, per di più senza avere in prima persona il pieno comando delle operazioni di sviluppo.
La Taurus, comunque fortemente intenzionata a puntare sui motori a gasolio marchiati VW, ricorse allora a un vecchio espediente. Acquistò da un rivenditore locale 2 VW Touareg dotate di V10 TDI e per le modifiche del caso si affidò alla Caterpillar, nota azienda di mezzi pesanti tra cui i famosissimi bulldozer. Al programma di tuning parteciparono anche Pi Technology e Mountune, per un assalto tutto britannico a Le Mans. Rimarchiando poi il propulsore come Caterpillar, non vi furono ostacoli da parte di Volkswagen.

L’architettura di base rimase a V di 90°, con testa in lega d’alluminio pressofuso, blocco in lega d’alluminio pressofuso a bassa pressione (AlSi8Cu3) imbullonato a un tunnel dei cuscinetti in ghisa lamellare.
L’albero a gomiti, con supporto a 6 cuscinetti principali, era a croce trasversale in acciaio pressofuso con inclinazione di 18° per ottenere un angolo di fasatura di 72°.
La distribuzione era monoalbero (SOHC), con 2 valvole per cilindro per un totale quindi di 20 valvole.
Erano anche presenti contralbero di bilanciamento, carter secco e 2 flange in aspirazione da 37,2 mm ciascuna.
Il 4 tempi diesel conservava la cilindrata di 4.921 cc (81,0 x 95,5 mm), ma con l’adozione di 2 turbocompressori Garret e di iniezione diretta multipoint gestita da una centralina Pectel, i 353 CV originari schizzarono a 580 (per le Mans furono limitati a 500 CV), con coppia massima di 1.050 Nm a 2.500 giri/min.
Ne derivavano una velocità massima di poco superiore ai 320 km/h e un’accelerazione a 0 a 100 km/h in circa 3 s.

Il telaio derivava da quello della B2K/10 che debuttò nel 2000 alla 12 Ore di Sebring: 4.640 mm di lunghezza, 1.990 mm di larghezza e passo di 2.800 mm per un peso che partiva da un minimo di 900 kg.
Sospensioni indipendenti di tipo pushrod all’anteriore e al posteriore, con freni carboceramici di 15″ di diametro e 37 mm di spessore.
Cerchi da 13” (o da 13,5”) con pneumatici Dunlop da 655 mm di diametro all’anteriore e cerchi da 14,5” con gomma da 724 mm al posteriore.
Infine il cambio era un sequenziale a 6 rapporti e il serbatoio poteva contenere fino a 90 l.
L’evoluzione denominata B differiva dall’originale per diversi miglioramenti aerodinamici tra cui un miglior effetto suolo, raffreddamento di trasmissione e freni potenziato e un più facile accesso alle parti meccaniche frontali senza dover smontare il musetto.

La vettura fu affidata all’equipaggio composto dai britannici  Phil Andrews e Calum Lockie, con il belga Anthony Kumpen a completare il terzetto. Come sempre per i diesel, il punto forte stava nei consumi che si attestavano a circa 3,5 km/l contro i 2 km/l delle rivali a benzina. La Taurus non fece però in tempo a sfruttare questo vantaggio siccome la frizione e il cambio, nonostante il depotenziamento del motore, non resistettero alle notevoli sollecitazioni dell’unità diesel, rompendosi dopo appena 35 giri. 
Per la cronaca l’altra vettura del team di Norfolk, quella a benzina, terminò al 20° posto e perciò lontano dalla top 6 che era la speranza iniziale. La Lola Caterpillar fece invece un’ultima apparizione a Silverstone, raccogliendo purtroppo un altro insuccesso.

L’avventura della Lola B2K/10 B Caterpillar sembrerebbe quindi un fiasco completo. Non pensiamo però sia un caso che soltanto un biennio dopo, nel 2006, un grande costruttore come Audi intuisca che sia giunto il momento per i prototipi a gasolio di trionfare a Le Mans. Che sia stata la prova del V10 TDI sulla Lola a far definitivamente cambiare idea al Gruppo Volkswagen, così restio nel 2004 ad imbarcarsi nell’impresa? Noi riteniamo proprio di sì! 😉
Per scoprire nei dettagli come la casa dei quattro anelli abbia contribuito alla storia del diesel da corsa, non ti rimane che continuare a seguirci nella prossima puntata di #RacingFuels!!

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– la Squadra Storie SCL