#RacingFuels – Tra la Sarthe e Brescia

29/07/2017

Al termine della scorsa puntata ci eravamo lasciati alle soglie del secondo conflitto mondiale. Come tutti gli aspetti della vita, anche il progresso tecnologico e, a maggior ragione, le competizioni automobilistiche rimangono cristallizzati durante eventi di questo terribile genere. Ciò significa che i motori diesel arrestarono il loro incedere verso una condizione pari ai propulsori a benzina, tornando ad essere considerati più buoni per il lavoro che per lo sport. Nel 1949 ecco però la nuova svolta, per di più non su un terreno facile: l’epica, mitica, esaltante 24 Ore di Le Mans, tornata per la prima volta dopo la guerra. Da qui riprende il viaggio della rubrica #RacingFuels.

La gara di durata più famosa al mondo stava ancora muovendo i primi passi, in una fase pionieristica che ne definirà l’attuale fascino. Proprio questo spirito di innovazione e avventura mosse due fratelli francesi, Jean e Jacques Delettrez. Provenienti da Parigi e figli di un distributore UNIC, ebbero l’intuizione di puntare non sulle prestazioni ma sull’affidabilità e sulla parsimonia nei consumi, caratteristiche altrettanto importanti in una gara di durata. Come ben sappiamo dalla storia della Cummins Diesel e dalle prime avventure in Europa, i motori a gasolio del tempo avevano in queste due componenti la loro vera forza, perché quindi non sfruttarla appieno?

La vettura che prepararono per l’occasione fu un compendio di parti dalla diversa origine. Innanzitutto il telaio, proveniente da un modello d’anteguerra della casa francese UNIC, famosa non solo per l’affidabilità delle sue automobili ma anche per i successi sportivi, conquistati agli albori della storia societaria (nel dopoguerra si occupò infatti di veicoli pesanti). Su tale base venne adattata la carrozzeria di una Delage V12, anch’essa proveniente quindi da una casa transalpina rinomata per lo sport e il lusso. Il cambio fu invece un Cotal. Infine la parte più importante, il motore diesel, un GMC 6 cilindri da 4395 cc di derivazione militare, in pratica un residuato bellico statunitense.

Con Jacques al volante e il numero 5 sulla carrozzeria blu, i due fratelli percorsero 123 giri del Circuit de la Sarthe, equivalenti a 1660 km, prima di incorrere in un problema: quello che doveva essere un punto di forza della loro vettura, i bassi consumi del motore, fu invece causa di rovina.
Il carburante si esaurì all’improvviso, per cui Jacques uso il motore di avviamento come spinta propulsiva di fortuna per raggiungere i box e tornare in gara dopo il pieno. Purtroppo la batteria risentì di questo uso improprio e si scaricò completamente, impedendo così la riaccensione del propulsore.

Fortunatamente, come i migliori pionieri, il duo transalpino non si lasciò scoraggiare da questo debutto sfortunato, tornado a Le Mans nel 1950 con la stessa auto (stavolta col numero di gara 10). Curioso come lo stesso motorino di avviamento causò un altro inconveniente: acceso per sbaglio mentre il motore principale era in funzione, esplose e costrinse nuovamente i Delettrez al ritiro.
Jean e Jacques, con il loro esperimento del 1949, ebbero anche il merito di ispirare altri ad affidarsi al diesel. Stiamo parlando della compagnia Manufacture d’Armes de Paris e della loro innovativa vettura, chiamata M.A.P.. Per l’epoca era veramente innovativa: il motore a gasolio, 5.0 l e 4 cilindri sovralimentato, presentava un’architettura a 2 tempi con cilindri contrapposti, collegati ad un unico albero a gomiti tramite leve. Non solo, la struttura con propulsore montato in posizione centrale era davvero all’avanguardia per i tempi, oggi invece è ampiamente impiegata nelle auto da competizione. L’equipaggio era di prim’ordine, con Pierre Veyron al volante e Francois Lacour ad accompagnarlo. Forse l’innovazione era troppa e a pagarne le conseguenze fu l’affidabilità, visto che un problema al sistema di raffreddamento (nello specifico un radiatore bucato) causò il ritiro della M.A.P. n°1 dopo 526 km.

Come dice il detto non c’è due senza tre, infatti Jean e Jacques Delettrez ci riprovarono anche nel 1951. La loro vettura n°12 fece registrare un miglior tempo sul giro di circa 2 minuti più lento della Jaguar XK120C poi vincitrice, ma nonostante questo dopo 24 giri le valvole cedettero e collezionò l’ennesimo ritiro. Le prestazioni blande e l’evidente inaffidabilità meccanica non incoraggiarono altri ad affidarsi al gasolio alla 24 Ore. Bisognerà infatti aspettare il 2004, quando la Taurus Sports Racing scese in gara con una Lola B2K/10-Caterpillar, spinta dal motore V10 TDI derivato da una Volkswagen Touareg.

Se quindi in terra francese il discorso fu momentaneamente archiviato, in Italia il motore diesel brillò in un’altra affascinate e gloriosa competizione, la Mille Miglia. L’edizione del 1955 viene ricordata per il successo della coppia Stirling Moss – Denis Jenkinson a bordo della Mercedes-Benz 300 SLR n°722, ma la casa della stella ebbe anche un altro motivo per festeggiare. Infatti, nella appena introdotta categorie per auto a gasolio, si distinse la Mercedes-Benz 180D. Al via se ne presentarono ben 6 esemplari, arrivati a Brescia compito di sfidare le 5 FIAT 1400D padrone di casa. L’auto tedesca era forte di tecnologia al passo coi tempi, con carrozzeria di tipo Ponton e motore a gasolio da 1.767 cc di cilindrata e 40 CV di potenza.

I due piloti tedeschi Helmut Retter (pilota) e Walter Lacher (navigatore) chiesero di loro iniziativa di partecipare alla gara, affiancando le 5 180D che il direttore del reparto corse Alfred Neubauer aveva inizialmente pensato di far correre. Superati i forti dubbi di quest’ultimo, Lacher e Retter partirono: lo scetticismo e i preconcetti dell’ambiente delle corse nei confronti del gasolio si trasformarono presto in risate e sberleffi, uno su tutti quello di far partire con ore di anticipo le auto a gasolio affinché non ostacolassero le altre, ben più performanti. In effetti la 180D col n°04 mise alla prova il pilota, quando il suo peso divenne difficile da gestire lungo i tornati di Umbria e Toscana.

I risultati furono però sorprendenti: il tempo finale di 16 h 52 min 25 s, a sole 7 h circa da quello del vincitore Moss e della sua vettura ad alte prestazioni (basti solo pensare al motore di derivazione F1); anche la velocità media di 94,645 km/h stupì, viste le prestazioni più modeste registrate fino a qualche anno prima. Il successo si rifletté anche sulle vendite, con la Mercedes-Benz 180D che vendette 153.000 unità fino all’uscita di produzione datata 1962, rendendola la versione di maggior successo della serie 180.

Abbiamo visto come l’evoluzione del diesel nelle competizioni sia passata, nel dopoguerra, attraverso gare iconiche, suscitando emozioni nel cuore del pubblico ma senza ricavare risultati storici. Negli anni a venire le auto a gasolio stabiliranno invece primati destinati a farle diventare sempre più apprezzate: stiamo parlando delle auto da record, che tratteremo nella prossima puntata di #RacingFuels!
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– la Squadra Storie SCL