#RacingFuels – La terza via dell’ibrido

16/12/2017

Tra le auto ibride che si sono sfidate nel WEC abbiamo visto diversi tipi di motore endotermico accoppiati al sistema elettrico. Audi ha puntato sul turbodiesel, scelta spinta non solo dai consumi ridotti ma anche dai successi del TDI nel WTCC. Toyota è rimasta fedele alla tradizione corsaiola, con un benzina aspirato.
Quale iterazione manca all’appello? Ma certamente, il turbobenzina tornato di grande attualità negli ultimi anni. Con questa soluzione montata sul prototipo 919, Porsche si è presentata ai nastri di partenza della stagione 2014, ben 16 dopo l’ultima apparizione nella disciplina endurance. Vediamo cosa è successo nel nuovo appuntamento con #RacingFuels!

Sicuramente la casa tedesca non ha lesinato gli sforzi. A testimoniarlo innanzitutto il gigantesco team formato da 230 persone di cui 150 ingegneri. Oppure le 2000 ore di progettazione nella galleria del vento per affinare l’aerodinamica, ormai equiparata per importanza alla raffinatezza meccanica grazie al suo impatto su prestazioni ed efficienza. Tutto questo impegno fu alla base dell’aver portato in 2 anni o poco più una vettura dal classico foglio bianco (anche se ormai digitale e non cartaceo) alle piste di tutto il mondo. Raccogliendo anche molto di più di una semplice bella figura.
Partiamo allora dal sistema propulsivo. Innanzitutto il motore termico, scelta insolita per le competizioni sportive. Si trattava infatti di un 4 cilindri a V di 90°: questa scelta ha permesso da una parte un ingombro limitato nel vano motore, con conseguente accentramento delle masse e migliori flussi d’aria per raffreddare i componenti, ma dall’altra ha causato forti vibrazioni che, per essere risolte, hanno portato ad una quasi completa riprogettazione dell’unità.
Tecnicamente parlando il propulsore presentava una cilindrata di 2.0 l e una struttura in lega d’alluminio con componenti in titanio e magnesio. La distribuzione a doppio albero a camme in testa, con 4 valvole per cilindro, era accoppiata ad un turbocompressore che faceva schizzare la potenza erogata a oltre 500 CV.
Innovativa non era solo l’architettura, ma soprattutto il doppio sistema di recupero dell’energia: oltre all’ormai classico generatore per trasformare l’energia in frenata in corrente elettrica, la 919 aveva anche un generatore a turbina azionato dai gas di scarico. Questo agiva in parallelo al turbo, immettendo altra energia elettrica nelle batteria per tutta la durata del funzionamento del motore elettrico.

Abbiamo nominato la batteria. Posta sul lato destro dell’abitacolo, era agli ioni di litio quindi con un’alta densità di energia immagazzinabile. Dapprima questa capacità di accumulare, abbinata all’ampio range di situazioni in cui trasformare l’energia cinetica in elettrica, ha fatto propendere i tecnici di Stoccarda per l’entrata nella classe maggiore di recupero di energia, quella da 8 MJ. Si sono accorti però che solo a Le Mans si sarebbe potuto sfruttare appieno il potenziale di batteria e sistemi di recupero, per cui nel 2014 si sono accontentati della classe da 6 MJ, per poi entrare in quella successiva l’anno dopo grazie ad una forte ottimizzazione tecnica.
Veniamo infine al motore elettrico. Se all’inizio dell’avventura della 919 poteva contribuire con un surplus di 250 CV, ora del 2017 aveva raggiunto un livello di sviluppo tale da superare i 400 CV. Questo fu molto utile ma anche necessario visto che il propulsore, via via alleggerito nei suoi componenti, ha visto “scappare” qualche cavallo nel corso degli anni attestandosi infine sui 480-495 CV.

Altri sviluppi dell’auto hanno ridotto stagione per stagione il peso iniziale di oltre 30 kg, fino agli attuali 870 kg. I tecnici hanno giocato sullo sviluppo di componenti meccaniche meno massicce, ma anche di fino elaborando ad esempio nuove luci a led più leggere di 1 kg. La riduzione stessa di peso ha permesso di utilizzare freni più piccoli e di conseguenza lasciare ai box altri chilogrammi.
Se nella monoscocca (fibra di carbonio composita con pannelli d’alluminio a nido d’ape) o nella trasmissione (frizione in plastiche rinforzate in fibra di carbonio, cambio sequenziale a 7 rapporti attuato idraulicamente e il differenziale autobloccante) si vedono soluzioni adottate anche dalla concorrenza, è nell’aerodinamica che in Porsche hanno puntato forte. Non solo in fase di progettazione iniziale, come visto, ma anche nelle stagioni successive. Le intense e lunghe ore nella galleria del vento, tra l’altro di proprietà della scuderia Williams di F1, sono servite a mettere a punto quella che i tecnici chiamano sensibilità aerodinamica. Durante la gara la situazione sulla superficie dell’auto è in costante mutamento per via, ad esempio, dei detriti di gomma depositati sull’asfalto che si depositano sul muso della vettura sollevati dallo spostamento d’aria. Può sembrare irrisoria la differenza fatta sul comportamento dell’auto, ma secondo i complessi calcoli portati avanti a Stoccarda migliorare la reazione ad eventi come questo ha permesso di rendere più stabile e maneggevole il comportamento dinamico nelle curve.

Anche la 919 ha vissuto però, come tutte le auto, delle piccole crisi di progetto. Il turbocompressore nel 2014 tendeva infatti a surriscaldarsi, portando all’incendio delle componenti adiacenti. Oppure basti pensare ai pannelli carrozzeria flessibili dai flussi d’aria, non permessi dal regolamento e fortemente osteggiati dai rivali di Audi e Toyota.
Ma si sa, quando gli avversari cercano possibili irregolarità nel tuo progetto tante volte è perché stai fornendo una fiera competizione. Può essere stato questo il caso del prototipo Porsche, che fin dal 2014 ha dimostrato come un nuovo contendente per il titolo fosse sceso in pista. I 2 equipaggi, formati uno da Romain Dumas, Neel Jani e Marc Lieb e l’altro da Timo Bernhard, Mark Webber e Brendon Hartley, hanno raccolto complessivamente 3 podi (sempre 3° posto), una pole e una vittoria (alla 6 Ore di San Paolo), nonostante la macchia della 24 Ore di Le Mans con entrambe le auto ritirate.

Il 2015 ha visto le auto schierate salire a 3, con il nuovo equipaggio Earl Bamber / Nico Hülkenberg /Nick Tandy. Nonostante il loro exploit nella vittoria di Le Mans, sono stati i terzetti più rodati a dominare la scena: 5 vittorie e 5 podi in totale, titolo costruttori in bacheca e corona d’alloro del titolo piloti sulla testa di  Bernhard, Webber e Hartley.
Proprio questi due equipaggi sono stati riconfermati per la stagione 2016. Il dominio è proseguito, con 6 vittorie e 3 podi ma soprattutto entrambi i bis mondiali. Nel 2017 Webber, dopo il secondo titolo piloti conquistato l’anno precedente, ha lasciato il volante a Earl Bamber, ma il risultato non è cambiato: la Porsche 919 è stata ancora in cima al mondo dell’Endurance. Lo sarà anche nella prossima stagione 2018? Noi fan del Motorsport non vediamo l’ora di scoprirlo!

Si chiude così la nostra panoramica sull’ibrido nelle corse, ma #RacingFuels non finisce di certo qui! Aspettatevi una “scossa” dalla prossima puntata, non mancate!
Qui sotto puoi gustarti la galleria di immagini della Porsche 919 Hybrid.
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