#RacingFuels – Un’automobile, due nature

11/11/2017

Nella scorsa puntata di #RacingFuels abbiamo accennato all’Audi R18, punto di svolta per la tecnologia ibrida. Il concetto di motore elettrico a supporto dell’unità motrice a gasolio, introdotto dalla Peugeot 908 HY ed evoluto su quella che sarebbe dovuta essere la brillante 908 Hybrid4, sboccia in tutta la sua efficacia nel corso della carriera della R18. Vediamo come!

Tutto nacque con l’Audi R18 TDI, erede di quella R15+ TDI quasi frenata dai regolamenti della sua epoca. Solo pochi anni più tardi invece, il complesso e approfondito studio aerodinamico compiuto dalla casa dei quattro anelli tornò utile per uno step evolutivo notevole.
La R15+ presentava l’abitacolo scoperto, caratteristica ereditaria per i prototipi Audi sin dai tempi della R8. La R18 passò invece all’abitacolo chiuso, non solo per ovvie ragioni aerodinamiche (meno turbolenze nella zona della testa del pilota), ma anche perché i nuovi regolamenti sul rifornimento ne avevano fatto lievitare i tempi, rendendo praticamente inutile avere un rapido cambio piloti. Inoltre le ultime controindicazioni dell’abitacolo chiuso, ovvero le elevate temperature interne e la scarsa visibilità durante il maltempo, erano ormai state superate grazie all’esperienza nel campionato DTM con l’A4, ma anche con la R8C e la Bentley EXP Speed 8 del 2003, quest’ultima facente parte nel 2003 del gruppo Volkswagen e portata in pista proprio grazie al supporto di Audi Sport.

Una delle principali novità fu il telaio monoscocca in fibra di carbonio, costruito dalla Dallara, non più diviso in 2 metà ma sfornato da un blocco unico, fatto che ne riduceva il peso aumentandone al contempo la rigidità. Sempre in favore della leggerezza anche la carrozzeria fu “liberata” da circa 40 kg in eccesso.
Tutto ciò portò ad una vettura che stava ben al di sotto dei 900 kg minimi previsti dal regolamento, permettendo l’aggiunta di zavorre in punti strategici per ottimizzare la distribuzione dei pesi. A tale obiettivo contribuivano anche le carreggiate anteriore e posteriore di uguale dimensione e il sistema di illuminazione completamente a led.
Attenzione per il peso e aerodinamicità che si sposavano alla perfezione nel sistema di aerazione dell’abitacolo: flussi d’aria pensati ad hoc resero superfluo l’uso del climatizzatore, con l’appannamento del parabrezza impedito da semplici resistenze.

Veniamo quindi al motore, l’ultimo TDI a spingere in solitaria una vettura della classe LMP1. Si trattava di un V6 da 3.7 l, con angolo tra le bancate di 120°, distribuzione a 4 valvole per cilindro, 2 alberi a camme per bancata e iniezione diretta del gasolio.
Era dotato di un unico turbocompressore Garrett (Honeywell Turbo Technologies) TR30R a geometria variabile: tale soluzione, in contrasto col passato e con la concorrenza che si avvaleva di 2 turbo, fu resa possibile dall’aria ad alta pressione che entrava in una presa d’aria al di sopra dell’abitacolo e arrivava quindi già precompressa alla singola turbina, che aveva una pressione massima di esercizio di 3 bar. Un esempio di risparmio di peso con la minima perdita di prestazioni, ridotte invece dalla flangia in aspirazione da 47,4 mm di diametro.
Ulteriore particolarità di questo nuovo motore era è l’inversione del lato di aspirazione e scarico delle testate: mentre prima turbocompressori e scarichi erano esterni al motore con l’aspirazione interna alla V formata dai cilindri, ora il turbocompressore veniva montato centralmente e gli scarichi sono tra la V dei cilindri, mentre l’aspirazione è esterna. Si creava perciò il sistema chiamato da Audi “a cuore caldo”.
Il suono che derivava da questo propulsore era descritto come molto particolare ,assomigliava più a un mormorio che a un rombo siccome i tecnici tedeschi reputavano il rumore solo uno spreco di energia. Spreco che deve essere stato ridotto al minimo visti i circa 550 CV di potenza e la coppia massima di oltre 850 Nm.

Con questo pacchetto di innovazioni la R18 TDI debuttò alla 6 Ore di Spa-Francorchamps del 2011, conquistando un 3° posto con il trio Allan McNish-Rinaldo Capello-Tom Kristensen.
Le potenzialità del mezzo si palesarono alla 24 Ore di Le Mans dello stesso anno. Una gara spettacolare, ricordata tra le più combattute di sempre: 2 delle 3 Audi in gara andarono ko per incidenti dovuti a incomprensioni durante dei doppiaggi, lasciando la n°2 di Marcel Fässler, André Lotterer e Benoît Tréluyer a battagliare contro le per oltre metà gara Peugeot. Alla fine, dopo aver essere partiti dalla pole position, la vettura dei quattro anelli vinse con il risicatissimo margine di 13,8 s, 3° distacco minimo di sempre nella storia di Le Mans dopo quello del 1966 tra le Ford GT40 di Amon-McLaren e Miles-Hulme, arrivate per ordine di scuderia in parata, e quello datato 1969 tra la Ford GT40 di Ickx-Oliver e la Porsche 908 di Herrmann-Larrousse.

Nonostante queste vittorie la vera storia della R18 iniziò nel 2012. Durante la progettazione l’ossessione per il peso, per la compattezza del motore e per la distribuzione dei pesi non furono solo dettate da raggiungere nuove vette prestazionali. Nella testa dei tecnici teutonici balenava già l’idea di introdurre un’unità motrice elettrica alla ricetta per muovere l’asse anteriore, con il motore diesel che scaricava la sua esuberanza sulle ruote posteriori: la nuova soluzione ibrida avrebbe permesso di riproporre, in una veste diversa e innovativa, la storica trazione integrale Quattro che tante soddisfazioni diede a Audi nel Motorsport degli anni ’80.

Il sistema ibrido era composto, oltre che dal V6 TDI, da un sistema di accumulo dell’energia con batteria a volano fornito da Bosch, infine da un motore elettrico in grado di trasmettere fino a 500 kJ di energia alle ruote anteriori, tra due fasi di frenata e al di sopra dei 120 km/h come prescritto dal regolamento.
Ma come funzionava? Un riduttore epicicloidale adattava il rapporto di trasmissione in base all’accelerazione e alla frenata. I due assi della vettura, azionati indipendentemente uno dall’altro, venivano sincronizzati da strategie di controllo elettroniche, completamente automatiche e senza intervento alcuno da parte del pilota.
Due i parametri regolanti l’intera procedura di ricarica, detta anche fase di recupero d’energia: la decelerazione della vettura, quindi l’intensità della frenata stessa e il livello di carica della batteria. Il processo di rilascio di energia, chiamato fase di boost, dipendeva si dal regolamento ma anche dalla strategia di gara scelta, dal movimento del pedale del gas e dall’accelerazione del veicolo.

Il resto del veicolo fu evoluto e perfettamente identico tra la versione ibrida, chiamata e-tron quattro, e quella esclusivamente a gasolio, la ultra. Le modifiche riguardarono il cambio sequenziale a 6 raporti Xtrac, azionato elettricamente e non più da un sistema pneumatico, con scatola del cambio in fibra di carbonio e materiali compositi con inserti in titanio, frizione in carbonio, sterzo elettromeccanico e aggiustamenti alla monoscocca a nido d’ape in fibra di carbonio e alluminio.
Come turbocompressore fu scelto un singolo Garrett Honeywell Turbo Technologies con pressione massima limitata a 2,8 bar, centralina Bosch MS24, flangia d’aspirazione da 45,8 mm di diametro, serbatoio da 60 l (58 l per l’ibrida) anziché 60 l, cerchi OZ forgiate in magnesio calzanti pneumatici Michelin Radial 360/710 R18 all’anteriore e 370/710 R18 al posteriore.

In tale configurazione sia la R18 e-tron quattro che la R18 ultra scesero in pista per la stagione 2012. La versione ibrida pilotata da Benoît Tréluyer, Marcel Fässler e André Lotterer vinse l’89^ edizione della 24 Ore di Le Mans stabilendo due primati: 1^ vittoria di un’auto ibrida e 1^ vittoria di una vettura a trazione integrale nella celebre gara di durata. La R18 e-tron quattro a fine anno conquistò anche il Campionato del Mondo Endurance.

L’evoluzione della vettura non si arrestò. La e-tron quattro divenne la versione su cui puntare e nel 2013 bissò sia la vittoria alla Sarthe che il Mondiale.
Nel 2014 il regolamento cambiò e il V6 TDI beneficiò di un’aumento di cubatura fino a 4.0 l e di turbocompressore elettrico. Importanti gli aggiornamenti al sistema di accumulo a volano e un sistema di recupero del calore: l’energia termica dallo scarico veniva catturata e poteva trasmettere energia al turbocompressore o all’accumulatore.
Audi decise poi di non correre con il secondo sistema di recupero dell’energia, noto in F1 come MGU-H, siccome i progettisti lo consideravano un inutile rischio a fronte di un aumento irrisorio delle prestazioni. L’aerodinamica venne fortemente riveduta secondo le nuove regole: la larghezza ridotta di 100 mm, l’altezza aumentata di 20 mm, nuovo set di ali anteriori e diffusore posteriore rimosso.
La monoscocca di sicurezza venne rafforzata con materiale aggiuntivo. Anche ruote collassabili e altre strutture a deformazione controllata furono aggiunte, così come una marcia in più al cambio che diventò a 7 rapporti.
Una retroilluminazione a raggi laser blu con una lente a cristallo di fosforo giallo integrò i fari a LED. Da segnalare anche piccole ottimizzazioni della visibilità e dell’ergonomia per facilitare il compito dei piloti.
La stagione 2014 vide mantenuto il dominio a Le Mans, ma Audi dovette lasciare a Porsche il titolo del Campionato.

Nel 2015 Audi si concentrò sul migliorare il pacchetto motore elettrico-accumulatore, con il primo che aumentò la potenza espressa e il secondo che poteva immagazzinare più energia. I risultati portarono però solo a piazzamenti e al 2° posto nel WEC.
Nel 2016 i cambiamenti furono invece più profondi. Aerodinamicamente si notavano il musetto strettamente parente di quello delle F1, retrovisori integrati e modifiche al corpo vettura. L’accumulatore a volano fu sostituito da batterie agli ioni di litio. La stagione sportiva, terminata con un 2° posto nel Mondiale e molti piazzamenti a podio, fu segnata dalla squalifica a Silverstone, dopo aver vinto la gara, per irregolarità al fondo vettura, oltre che dall’annuncio del ritiro dalle competizioni a causa degli strascichi del dieselgate, fatti di salate multe da pagare.

Ecco quindi la capostipite dell’era ibrida, la vettura che ha dato il via ad un’evoluzione tecnica tuttora in atto e mai doma. Vedremo nella prossima puntata di #RacingFuels chi sono state le agguerrite e vincenti avversarie della R18!

Qui sotto puoi gustarti la galleria di immagini delle Audi R18 TDI, e-tron quattro e ultra.
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– la Squadra Storie SCL